Caratteristiche e classificazioni delle cellule staminali cordonali

di | 28 Luglio 2016

a cura di: Ufficio Stampa Sorgente

 

Molte coppie in attesa di un bambino si domandano come mai sia così importante scegliere la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale. Il primo passo per comprenderlo è quello di informarsi su che cosa siano le staminali cordonali, in quali tipologie siano state classificate e quale possa essere il loro utilizzo nel trattamento di alcune patologie.

 

Tutti sanno che mediante il cordone ombelicale la madre nutre il proprio piccolo, consentendo la sua crescita. Il ruolo svolto durante la gravidanza da questo organo è perciò fondamentale. Nel cordone si raccoglie una piccola quantità di sangue (circa 60-80 cc), che è particolarmente ricca di cellule staminali. Si tratta delle cosiddette staminali cordonali o staminali del cordone ombelicale.

 

I ricercatori hanno distinto le staminali del cordone ombelicale in alcune tipologie:

o le staminali simil-embrionali possono dare origine a cellule dei tessuti endodermici (per esempio, l’intestino), mesodermici (appunto, il derma) ed ectodermici (è il caso del midollo spinale);

o le staminali mesenchimali sono in grado di differenziare in cellule del tessuto osseo, cartilagineo, nervoso e adiposo;

o le staminali ematopoietiche sono in grado di generare, invece, cellule midollari e del sangue;

o le staminali progenitrici endoteliali possono dar vita alle cellule di cui sono fatti i vasi sanguigni[1].

 

Tra le caratteristiche specifiche delle cellule staminali del cordone ombelicale vi è anche la loro capacità anti-infiammatoria: tale azione è possibile perché queste cellule possono liberare particolari elementi, i cosiddetti fattori umorali, come la prostaglandina E2 [4, 5].

 

Il principale utilizzo terapeutico delle staminali cordonali però è legato alle loro proprietà di differenziazione e di proliferazione. In virtù di tali caratteristiche, infatti, le staminali cordonali vengono impiegate in operazioni di medicina rigenerativa, al fine appunto di rigenerare e “ricostruire” cellule, tessuti e organi danneggiati e un tempo irreparabili, senza sostituirli.

 

Nell’ambito della medicina rigenerativa ha dato risultati efficaci solo il trapianto autologo, cioè quello in cui vengono infuse cellule che sono state ottenute dal medesimo paziente; mentre il trapianto cosiddetto allogenico, ovvero quello in cui donatore e ricevente sono due persone diverse, potrebbe provocare nel malato anche conseguenze negative. Per esempio, in caso di rigetto, chi ha subìto il trapianto dovrebbe continuare a effettuare per tutta la vita alcuni trattamenti specifici.

 

In ogni caso, se l’unica possibilità di un malato è il trapianto allogenico, occorre utilizzare comunque cellule staminali del cordone ombelicale. Tali cellule infatti sono “immature” dal punto di vista immunologico [1, 3] e per questo motivo possono dare maggiori garanzie di attecchimento, diminuendo i rischi di rigetto, se confrontate alle cellule staminali ricavate da altri tessuti.

 

In definitiva, le proprietà delle staminali del cordone ombelicale spiegano perché scegliere di conservarle può rappresentare una decisione in grado di salvaguardare la salute di un bambino e dei membri della sua famiglia.

 

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Note bibliografiche

  1. Francese, R. and P. Fiorina, Immunological and regenerative properties of cord blood stem cells. Clin Immunol, 2010. 136(3): p. 309-22.
  2. Mihu, C.M., et al., Isolation and characterization of stem cells from the placenta and the umbilical cord. Rom J Morphol Embryol, 2008. 49(4): p. 441-6.
  3. Harris, D.T., Non-haematological uses of cord blood stem cells. Br J Haematol, 2009. 147(2): p. 177-84.
  4. Jiang, X.X., et al., Human mesenchymal stem cells inhibit differentiation and function of monocyte-derived dendritic cells. Blood, 2005. 105(10): p. 4120-6.

5. Spaggiari, G.M., et al., MSCs inhibit monocyte-derived DC maturation and function by selectively interfering with the generation of immature DCs: central role of MSC-derived prostaglandin E2. Blood, 2009. 113(26): p. 6576-83.